La mia vita? un eterno casino., LA fan fiction della nostra amministratrice,Laura!

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bravabimba2
view post Posted on 12/9/2011, 09:25




Capitolo 1:

Dovrebbe essere illegale che un padre possa leggere i pensieri dei propri figli.
"Nessie, lo sai che ti sento, vero?" chiese il diretto interessato. Sibilò le parole tra i denti così velocemente che gli esseri umani non si sarebbero neanche accorti che aveva mosso le labbra.
Certo, paparino, pensai, sorridendo dolcemente al mio splendido genitore, seduto all’altro lato del tavolo.
Edward Cullen, eterno diciassettenne di centoundici anni, dalla pelle marmorea perfetta e bianca. Alto, con un fisico slanciato e muscoloso. Il suo viso dai lineamenti dritti e regolati era incorniciato da capelli ribelli color bronzo, gli occhi dorati messi in risalto dalle occhiaie. Nel complesso era uno schianto assoluto, il mio adorato padre capace di leggere nel pensiero.
Di recente ci eravamo trasferiti ad Aberdeen, una piccola cittadina dello stato di Washington abbastanza lontana da Forks per non incontrare visi conosciuti e abbastanza vicina da tenerci in contatto con il branco di La Push e con Charlie.
Avevamo organizzato per bene la nostra copertura. Nonno Carlisle, faceva il medico nell’ospedale della città. Capelli biondi, occhi color oro, viso, e soprattutto animo d’angelo, quando camminava per l’ospedale le infermiere e le dottoresse ne erano così incantate che i colleghi maschi dovevano ricordare loro in continuazione che era sposato.
Nella nostra personale recita, Esme era una donna che non poteva avere figli propri (Quella non era una bugia, le cose stavano davvero così) e così lei e il marito avevano preso in affido diversi figli di parenti morti in varie tragedie, tutti già piuttosto cresciutelli.
Rosalie e Jasper si fingevano gemelli e al momento avevano diciasette anni, figli di un fratello deceduto di Carlisle, ed erano fidanzati rispettivamente con Emmett, diciasette anni, e Alice, quindici anni, entrambi orfani di amici di famiglia. Io e Edward eravamo l’altra coppia di gemelli e avevamo anche noi quindici anni. Lui era fidanzato con Bella, sempre finta quindicenne, cugina di Esme che viveva con noi, e io con Jacob, diciannovenne studente universitario, amico di famiglia.
Eravamo proprio la classica famiglia americana media.

Eravamo seduti alla mensa della scuola, tutti intenti a far finta di mangiare (tutti tranne me), noi sette, i Cullen, gli ultimi arrivati, la famiglia con la pelle di gesso.
Era la prima volta che frequentavo il liceo, anche se le mie conoscenze mi avrebbero probabilmente fatto guadagnare diverse lauree senza difficoltà, e nonostante gli umani mi piacessero, non potevo fare a meno di non sentirmi totalmente felice, in quel posto.
Primo: perché ero l’unica a non potersi portare dietro il fidanzato, Jacob appariva tropo grande per frequentare il liceo. Il secondo motivo per cui non mi sentivo mai propriamente a mio agio tra i banchi di scuola era ciò che i miei compagni pensavano di noi.
Ero preparata all’inconscio timore che avrebbero mostrato nei nostri confronti, sapevo come funzionava. Nemmeno il fascino immediato che grazie al mio potere esercitavo su chiunque mi conoscesse poteva nulla contro l’avversione naturale che tutti provavano guardando la pelle marmorea e gli occhi dorati dei miei sei "fratelli".
Non c’era niente di strano in queste reazioni. L’istinto di sopravvivenza li metteva in guardia su qualcosa che loro non sarebbero mai arrivati a comprendere: non eravamo umani, eravamo pericolosi.....
Ciò a cui non ero preparata erano le frasi dette a mezza voce si di noi, sul nostro aspetto e sulla nostra famiglia.
"Ma chi sono quelli?", "Che bella quella ragazza", "Sono loro quelli nuovi?", "Vengono dall’Alaska, per questo sono così pallidi", "Perché stanno sempre per i fatti loro?", "Ma chi si credono di essere per snobbarci così?" e via di questo passo.
Quando poi avevano scoperto che sei di noi erano fidanzati tra fratelli adottivi era stato anche peggio.
"Oddio!!", "Ecco perché stanno sempre così appiccicati", "Che schifo!" come si poteva sopportarlo?
Dovevo sopportare: loro non potevano ne dovevano sapere che li sentivamo come se ci urlassero in faccia, anche se a volte avrei proprio voluto informarli, così magari l’avrebbero piantata.
La cosa veramente assurda era che l’unica che i miei nuovi compagni di scuola trovavano normale ero io: la mezza vampira fidanzata con un licantropo, era davvero snervante.

A questo stavo pensando, al mio bellissimo licantropo Jacob Black, che mi sarebbe stato fedele per l’eternità, legato a me da un patto indissolubile quale era l’imprinting, quando mio padre tirò un calcio alla mia sedia, facendo svanire le mie fantasie prima che diventassero troppo focose.
"Potresti evitare di pensarci almeno a scuola?" domandò, sempre troppo piano perché qualcuno, tranne la nostra famiglia dall’udito fine, potesse udirlo.
Come se tu non pensassi mai alla mamma, quando sei a scuola, ridacchiai, ammiccando in direzione di Bella.
Bella Cullen, fidanzata di Edward, presto o tardi avremmo inscenato il loro secondo matrimonio in questa città, mia madre, lo scudo uman...no, vampiro. Ovviamente bellissima come tutti noi Cullen, la pelle liscia e bianca, gli occhi dorati cerchiati dalle occhiaie e i capelli castani con riflessi rossi alla luce. I suddetti riflessi non si vedevano mai, perché se mia madre si fosse esposta al sole, la gente avrebbe guardato ben altro.
"Ehi, di cosa parlate?" s’intromise Emmett, ad alta voce.
Emmett era un colosso, il più forte persino tra i sovraumani membri della famiglia Cullen, oltre i tratti caratteristici di ogni vampiro, aveva i capelli ricci e scuri ed era dotato di un forte senso dell’umorismo, che sfoggiava in ogni occasione.
"Del fatto che Edward non mi lascia nemmeno libera di fantasticare su quel che voglio" risposi alla svelta. Anche quando non ero a tiro d’orecchio degli umani, mi sforzavo di chiamare i miei genitori Bella ed Edward, anziché mamma e papà, era uno degli inconvenienti dell’essere eternamente giovani e belli.
"Lo so," disse lo zio, dandomi una comprensiva pacca sulla spalla. "A volte è davvero insopportabile"
"Solo a volte?" s’intromise Alice.
Alice, più che per un vampiro avrebbero potuto scambiarla per un folletto dai capelli corti e neri con gli occhi dorati, un folletto con la capacità di prevedere il futuro e una particolare passione per feste, vestiti e macchine sportive.
Rosalie, che fino a quel momento era rimasta totalmente assorta ad ammirare il suo splendido riflesso sul cucchiaio, storse la bocca in una smorfia malevola.
Se Emmett era la forza, Rosalie era la bellezza. Quel genere di bellezza straordinaria: alta, perfetta e bionda, ma qualche difetto doveva pure averlo, infatti era piuttosto vanitosa e superficiale.
Per una frazione di secondo pensai che stesse per dire qualcosa di antipatico su Jacob, come suo solito, ma poi sentii di cosa stavano parlando al tavolo più vicino al nostro e capii che non ci stava nemmeno ascoltando.
L’oggetto della conversazione eravamo noi, in particolare Rosalie e Emmett.
"Certo, lei è molto bella, ma deve avere qualcosa che non va per stare con suo fratello" stava dicendo una ragazza.
La riconobbi: era Paris Karew, stesso corso di fisica avanzata che frequentavamo io e Alice, sedeva al nostro tavolo.
E pensare che ero stata così carina da mettermi tra lei e Alice, per evitare che l’avere una vampira come vicina di banco la mettesse troppo a disagio. Bel ringraziamento!
Mi ripromisi che alla lezione di quel pomeriggio le avrei tirato una bella gomitata.
Rosalie avrebbe voluto ringhiare, ma siccome un simile atto non si addiceva a una graziosa signorina, dovette trattenersi.
"La sua è tutta invidia, Rose lasciala perdere lei non può capire" la consolò Edward e Jasper sorrise, facendoci sentire all’istante tutti più felici e rilassati.Benedetto sia zio Jazz!!
Adoravo Jasper e la sua capacità di influenzare l’umore di chi gli stava accanto. Jasper aveva un aspetto leonino, con folti capelli biondo miele, che s’intonavano con gli occhi dorati.
Probabilmente quel che aveva detto papà era vero. Paris doveva apparire piuttosto carina a chi non aveva standard di bellezza vampireschi e l’arrivo di quattro splendide ragazze quali eravamo io, zia Alice, zia Rosalie e mamma non doveva farle molto piacere.

La campanella che avvisava l’inizio delle lezioni pomeridiane mi diede la scusa perfetta per evitare che mio padre mi ricordasse che ero troppo giovane per fantasticare e fare cose troppo spinte con Jacob.
Quel pomeriggio avevo solo due ore di fisica avanzata con zia Alice e ovviamente con EloParis Karew, a cui avevo deciso di fare un paio di dispettucci per vendicare zia Rosalie.
Mentre mi dirigevo verso l’aula della lezione con zia Alice, la sentii improvvisamente dire "Ehi!" con tono stizzito.
"Che succede, Alice?" probabilmente aveva appena avuto una delle sue visioni soprannaturali del futuro.
"Ho appena visto sparire il fantastico pomeriggio di shopping che avevo progettato con te e Bella per rinnovare il tuo guardaroba" mi rispose, nascondendo a stento l’irritazione.
Io invece ero al settimo cielo: Non solo avrei evitato di girare per tutte le boutique delle città (ero allergica allo shopping), ma avrei anche passato il pomeriggio con Jake. Ringraziai silenziosamente il mio amato licantropo, qualsiasi cosa stesse facendo e cercai di nascondere l’entusiasmo.
Entrando in classe vidi che Paris era gia al nostro banco e parlava con un ragazzo e una ragazza che sedevano con lei anche a pranzo.
Io e Alice ci sedemmo al nostro posto e Alice aprì subito il libro di testo a una pagina a caso, fingendo di ripassare qualcosa. Ma sapevo la verità: stava cercando di trovare un modo per aggirare l’ostacolo costituito dai piani invisibili di Jacob e riuscire a trascinare me e mia madre in giro per negozi.
"Ehi, tu sei la ragazza nuova?"
A parlare era stato il ragazzo di fianco a Eloise, che aveva smesso di ascoltare le due compagne e ora guardava me.
"Sì, sono una delle ultime arrivate" sentendo la mia voce da soprano, come la definiva mia madre, il ragazzo arrossì e io sospirai internamente. Speravo proprio che non si infatuasse di me, gli umani mi piacevano, ma non in quel senso.
Sapevo di essere bella, negarlo sarebbe stato stupido. Avevo la pelle bianca come tutti i miei parenti vampiri. Gli occhi color cioccolato, ereditati da mia madre quando ancora era umana e una massa di capelli ricci color rame, lunghi fino alle reni, accompagnati da un perfetto viso di porcellana, ereditati da mio padre vampiro. Il mio aspetto, unito alla mia innata capacità di affascinare la gente, mi garantiva la simpatia di chiunque, a qualunque razza appartenesse, ma non per questo avrei illuso qualche ragazzo di avere delle possibilità con me. Nel mio cuore c’era spazio solo per Jacob Black, ma in quel momento era meglio non pensarci troppo, con mio padre a due classi di distanza.
"Io sono Connor Sloan, nella mia classe di letteratura c’è un ragazzo che ti somiglia. Edmun, Edwyn..."
"Edward", lo corressi automaticamente, "il mio gemello"
I gemelli Edward e Renesmee Cullen, era ironico pensare che in realtà eravamo padre e figlia. D'altronde la somiglianza tra noi era davvero troppa per farci apparire qualcosa di meno che gemelli.
"E tu come ti chiami?" mi chiese lui, felice che gli stessi dando la mia attenzione, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
"Se non sbaglio hai un nome strano, difficile da ricordare" Paris rispose al posto mio.
Evidentemente temeva che le rubassi la preda. Non aveva di che preoccuparsi, quel tipo non aveva affatto un odore invitante (il suo prfumo era pessimo) e se anche fosse diventato la mia, di preda, non si sarebbe divertito affatto.
"In effetti il mio nome è un po’ particolare" risposi, sorridendo. "Mi chiamo Renesmee Cullen" Non dissi il mio soprannome, "Nessie", quella era un’informazione riservata.
"È un nome molto bello, invece" replicò Connor. Io distolsi l’attenzione da lui, come dicevo, non mi andava di illuderlo inutilmente.
Poi il professore entrò in classe e lui dovette andarsene. Per le due ore seguenti Paris non fece alto che lanciarmi occhiatacce. A quanto pare ero riuscita a vendicarmi senza muovere un dito, bene.

Mentre uscivo da scuola insieme ai mie parenti,mamma e papà non fecero altro che sibilarmi raccomandazioni, in modo che gli umani non sentissero, su cosa potevo e soprattutto su cosa non dovevo assolutamente fare durante il mio pomeriggio con Jacob.
"Devi tornare entro le nove e non fare cose pericolose come: buttarti dalle scogliere, correre in moto..." ascoltai annoiata quella litania di divieti. Come se schiacciarmi su uno scoglio o schiantarmi con la moto potesse davvero essere pericoloso per me. Da quel punto di vista ero più resistente dei licantropi.
Mio padre stava per cominciare ad elencarmi le cose che non potevo fare a e soprattutto con Jacob, ma a quel punto varcammo la soglia della scuola, uscendo sotto la pioggia scrosciante.
Una volta all’aperto fiutammo tutti lo splendido profumo di Jacob (mi domando ancora perché tutti i vampiri si ostinino a dire che i licantropi puzzano hanno un profumo che ricorda i boschin di Forks). Rosalie e mio padre fecero una smorfia, io invece sorrisi raggiante, scaraventai la cartella nella pancia di papà e corsi incontro al mio adorato Jake, che vedendomi si mise a scodinzolare come un cagnolino.
"Grazie, Jake" gli sussurrai, saltandogli al collo e baciandolo su una guancia, per non irritare troppo papà vampiro.
"Di che?" chiese lui, confuso, ma comunque contendo di potermi abbracciare.
Probabilmente molti altri studenti, oltre alla mia famiglia, stavano osservando le nostre effusioni, ma me ne fregavo altamente.
"Grazie per avermi salvata da un pomeriggio in giro per centri commerciali con zia Alice" dissi, strofinando le labbra sul suo collo, poco sotto l’orecchio sinistro. Lo sentii fremere e sorrisi. "Sempre felice di esserti utile" ricambiò il sorriso.
"Allora andiamo?" chiesi.
Volevo scappare prima che papà ci raggiungesse e facesse la ramanzina anche a Jacob. Ci infilammo a razzo in macchina e Jake parti sgommando sotto la pioggia.


 
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